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domenica 13 luglio 2014

Il gelato artigianale italiano....

 è a rischio di estinzione, troppe catene, troppi semilavorati e troppa improvvisazione

Nonostante la crisi economica e finanziaria degli ultimi anni, in Italia il numero di gelaterie è in crescita. Da quando ha preso piede l’idea del gelato come business, favorita dal fenomeno Grom, si è registrato un fiorire di catene in franchising, che spesso però nascondono una scarsa attenzione alla “cultura” del prodotto, oppure una “re-interpretazione” da parte dell’industria un prodotto artigianale.
Alla fine risulta difficile distinguere i professionisti “veri” dai negozi e dalle catene che di artigianale hanno solo la facciata. La legge non aiuta perchè nel nostro Paese, famoso in tutto il mondo anche per questo prodotto gastronomico, non esiste un disciplinare accettato e condiviso su cosa deve essere un cono artigianale. Mentre ciò accade, le associazioni di categoria da tempo non rappresentano che loro stesse, e l’industria dei semilavorati prospera e i gusti si appiattiscono.
Chi ci rimette sono i consumatori che non sanno più distinguere tra un gelato artigianale ed uno che lo “imita”. Il mercato è diviso in due grandi schieramenti, il 90% (e forse di più) delle gelaterie utilizza semilavorati e prodotti ad alta grammatura per preparare gelati belli, stabili e colorati. Dall’altra parte c’è un’esigua minoranza di Artigiani (con la A maiuscola) che cerca di proporre un prodotto tradizionale, lavorando sulla creazione di ricette, utilizzando ingredienti della filiera corta, freschi, di stagione, rinunciando a gonfiare e colorare il prodotto per renderlo più bello in vaschetta. Questi personaggi sono considerati “estremisti”  o “integralisti”, perché vogliono essere indipendenti da un’industria che cerca di omologare il gusto.
In tale scenario si sono inserite le catene di gelaterie che si caratterizano perchè comunicano con molta abilità l’unicità del loro prodotto e la naturalità delle materie prime… Provate a immaginare una trasformazione progressiva di tutti i ristoranti italiani in fast food o in locali collegati ad una catena con piatti precotti e riscaldati al momento. Se da un lato si ottimizza la velocità del servizio e si definisce uno standard di gusto omogeneo, dall’altro si abbassa la specializzazione dei singoli cuochi e si perde la ricchezza e la varietà gastronomica, come è successo in altri Paesi, dove l’industria alimentare è diventata egemone rispetto all’artigiano e alla sua “peculiarità”.
Fare il gelato artigianale è un’arte che va appresa. Non si può sostituire la conoscenza con un sacchetto di polveri pronte a cui aggiungere acqua o con una miscela preparata da mettere nel mantecatore per fare “il gelato come una volta”… Una volta il gelatiere non faceva così; sceglieva le materie prime seguendo le logiche di prossimità, gusto, conoscenza di chi le produceva. Le bilanciava secondo il suo “savoir faire”, la sua conoscenza o (più recentemente) tramite gli studi della materia. Produceva poco e tutti i giorni.
Il problema della bontà o artigianalità di un gelato non dipende dalla presenza o meno di  stabilizzanti, il problema è che pochi gelatieri conoscono la tecnica per costruirsi delle ricette, mentre altri si affidano ai fornitori di prodotti e semilavorati. Poi c’è un gruppo che esalta la bontà del gelato in funzione dell’assenza di stabilizzanti.
Chi dice di non usare stabilizzanti, chiamandoli per maggiore effetto mediatico “additivi chimici”,  prende in giro il consumatore con giochi di parole ad effetto. Gli stabilizzanti alimentari ormai da tempo non vengono più definiti “chimici”, perché questa parola è priva di significato. Ogni cosa in natura è “chimica”. Gli stabilizzanti usati nella preparazione di dolci e gelati sono in massima parte  prodotti vegetali, come i semi di carruba o di guar, ridotti in polvere e usati come addensanti perché hanno delle utili proprietà fisiche. Quindi non sono “chimici” nel senso che non sono prodotti “di sintesi (chimica)”. La maggior parte non ha neppure una dose massima giornaliera da rispettare, poiché non sono tossici per l’organismo.
Usare messaggi che denigrano l’utilizzo di questi additivi è  efficace ma così facendo si gioca emotivamente sulla mancanza di informazione del consumatore medio (ma anche di molti produttori).
Per fare un gelato oltre agli stabilizzanti ci vuole latte, zucchero, panna, frutta (fresca o secca), cacao… tutti prodotti che il bravo gelatiere può procurarsi e dosare in autonomia nel proprio laboratorio. Non usare emulsionanti è possibile ma si deve ricorrere a speciali macchinari che attraverso la micronizzazione delle particelle della miscela permettono un’emulsione meccanica (più instabile).
Se in tempi brevi l’esigua quantità di artigiani non aumenta e non si torna a valorizzare il prodotto e le materie prime il cono di qualità non ha certo un grande futuro.

Bruno Albo
Pubblicato da Redazione Il Fatto Alimentare il 24 luglio 2013

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